Questo matrimonio non si deve fare né ora né mai, dissero i bravi al
povero curato. Parole sante specie oggi in cui tale istituzione mostra tutte le
sue crepe: del suo significato sacramentale poco rimane: spesso esiste solo il
cerimoniale, il contorno folcloristico della chiesa addobbata e dei due
all’altare, mascherati da sposi, ingessati negli abiti comprati per
l’occasione, quelli da non indossare mai più, quasi a simboleggiare quel per
sempre su cui giurano e spergiurano, non potendo sapere in anticipo che il
sempre non esiste. In aggiunta pronunciano, senza colpo ferire, parole e frasi
che farebbero sobbalzare i santi: prometto di essere fedele sempre, di amarti e
onorarti tutti i giorni della mia vita… Tutti i giorni? Persino quelli in cui
non si sopporta più che l’altro respiri vicino? Persino quando il più piccolo,
il più banale dei gesti, dallo starnuto allo sbadiglio produce allergia? E che
ne diresti di tutti gli altri in cui si desidererebbe essere sordi e ciechi?
Altra frase capitale: saremo una sola carne
e un solo spirito, un amalgama indistinto e gelatinoso? Scherziamo?
Verrebbe proprio da dire: mio Dio perdona loro perché non sanno quello che
fanno. Eppure ci si sposa ancora. Escludendo l’amore che come si sa viene e va,
quale ragione le pare possa ancora se non giustificare almeno aiutare a
comprendere una scelta che, usando un eufemismo, mi sento di definire se non
altro anacronistica? Ritengo che il futuro sarà
migliore
se la vedrà scomparire.
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